Negli ultimi giorni, sulle unioni civili è stato detto di tutto e non voglio aggiungermi alla schiera di tuttologi da social network, però un’osservazione la voglio fare. Non tanto nel merito, ma sulla forma.
Uno degli aspetti più discussi del disegno di legge Cirinnà (per info: ecco cosa dice il ddl Cirinnà) è quello della “stepchild adoption“, che è un giro di parole per dire “adozione del figlio del partner”.
Ancora una volta, le istituzioni si sono affidate ad un anglicismo, come se l’italiano non avesse le risorse lessicali idonee per esprimere concetti nuovi senza dover ricorrere a prestiti da altre lingue.
Io non sono d’accordo, abbiamo la lingua più bella al mondo, usiamola!
… e voi come la pensate?
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Andrea, sono molto d’accordo con il tuo pensiero. Negli ultimi anni, si tende a tradurre termini,preferendoli così, alla nostra lingua, nonostante non sia affatto da meno!
Ciao giovane Holden, concordo, la nostra lingua non è affatto da meno. Aggiungo inoltre che se le istituzioni decidessero di utilizzare l’italiano, la comprensione delle loro proposte sarebbe più semplice. Viceversa, l’utilizzo improprio di terminologia di matrice esterofila complica la comunicazione, fino ad allontanare le persone dai grandi progetti che li riguardano.
Ti ringrazio per il tuo commento, a presto.
Caro Andrea, voglio dirti schietto ciò che penso.
L’uso di espressioni inglesi per definire dei concetti così importanti, è un qualcosa che crea confusione in buona parte della popolazione. Sapendo che una buona parte di Italiani padroneggia poco l’inglese, si rischia di sminuire la famiglia, che è un qualcosa di umano e affettivo, rendendola quasi una sorta di “pura formalità”.
Mi spiego meglio con un esempio: ho sentito qualche attivista gay dire che il matrimonio è (preparati) “solo una firmetta” e definire la famiglia “un luogo”. SOLO UNA FIRMETTA? UN LUOGO?
Tu sei un esperto di comunicazione e lo sai meglio di me: se si minimizza qualcosa, lo si mette in secondo piano; se viene invece affrontato, gli si da importanza.
Ecco, a mio giudizio, dire che la famiglia è “solo un luogo” significa spogliare completamente il concetto di famiglia di tutte le implicazioni che esso ha nella nostra società, aprendo le porte all’accettazione di idee che tolgono dignità alla famiglia e all’umanità stessa. Sei un personaggio influente, ad esempio, dicesse che “in fondo l’omicidio è solo un fatto di cronaca giudiziaria”, si rischia di far passare l’idea che non ci sia niente di abominevole nell’uccidere una persona.
Anche l’uso della lingua inglese rientra in questi termini: se io dico che “stepchild adoption” significa semplicemente “adozione del figliastro” la gente non si fa alcun problema, Ma se io dico “possibilità che coppie gay possano avere figli tramite utero in affitto” la gente insorge nelle piazze (come successo a Roma).
In parole povere: l’uso dell’inglese rischia di far passare un qualcosa di profondamente ingiusto per qualcosa che non lo è affatto. Anzi, addirittura lo fa sembrare un diritto!
Scusami per aver scritto quasi un papirone, ma ho voluto essere il più chiaro possibile per evitare ambiguità o fraintendimenti.
Ti saluto e ne approfitto per farti i complimenti per il tuo blog e per il tuo lavoro di ogni giorno.
Buona serata. Francesco.
Ciao Francesco, grazie per il tuo commento.
Al di là del merito del disegno di legge, l’uso spropositato dell’inglese è poco indicato per riferirsi a dei contenuti così importanti per le persone, anche perché, come dici tu, invece di fare chiarezza in modo univoco, genera molta confusione.
Detto ciò, ti faccio un in bocca al lupo per il tuo progetto.
Concordo!
Non capisco perché in questo caso si debba usare necessariamente l’inglese quando, in altre situazioni, i giornalisti hanno impiegato espressioni italiane per riassumere emendamenti ben più complessi.
Ironia della sorte, quest’uso spropositato della lingua inglese viene messo in mostra da un premier che ha dimostrato a tutto il mondo di essere poco pratico della lingua.
Ti ringrazio per l’augurio e lo ricambio caldamente.
Francesco
🙂
Correndo il rischio di apparire volutamente controcorrente, esprimo il mio dissenso (su questo specifico riferimento). Siamo concordi nel dire che la lingua italiana non sia da meno e che , sicuramente, non potrebbe mai esserlo nei confronti della lingua inglese , ben più povera e semplice . Tuttavia non vedo alcun tipo di incoerenza e danno nell’adottare istituti giuridici e modelli (aziendali, economici, di marketing etc…) dall’estero, senza rinunciare alla loro originale nomenclatura. Lo stepchild adoption è gia realtà in altre parti del mondo, siamo noi che “ci stiamo conformando ” e quindi lo estrapoliamo dal suo contesto originario per integrarlo al nostro. Inoltre non vedo in alcun modo come queste semplici parole (peraltro spiegate da quasi tutti i media) possano rendere più confusionaria la questione . Le uniche cose confusionarie che ho visto , in merito a queste specifiche parole (stepchild adoption), sono state le dichiarazioni balbuzienti di alcuni nostri politici, palesemente incapaci di pronunciarle.
Ciao Internauta 2016, ben venga il tuo commento “controcorrente”, finché esposto con grande civiltà ed educazione, non può che essere un valore aggiunto per il confronto.
Non entro nel merito del disegno di legge, però sono convinto che farne riferimento con un anglicismo non è la mossa migliore, sia perché rende meno chiaro ciò che viene proposto, sia perché allontana le persone dai contenuti. Lo stesso discorso vale per “spending review”, “jobs act”, “local tax” ecc.
Colgo l’occasione per farti i miei migliori saluti, alla prossima.
Ciao, ho trovato questo articolo perché proprio stasera è nato un dibattito a tavola su “inglese si” e “inglese no” nella terminologia politica.
Premetto che, essendo laureata in lingue e avendo una grandissima passione per loro, simpatizzo per inglese si. Trovo molto interessante il tuo punto di vista, ma ci tengo a darti anche il mio magari per avere una visione diversa. Voto sì all’inglese perché l’italiano, per quanto sia una lingua fantastica e molto completa, resta pur sempre poco parlata all’estero. Mettendomi quindi nei panni di una persona di nazionalità diversa che vuole informarsi su come vanno le cose in Italia (soprattutto a livello politico), trovo appropriata l’idea di un anglicismo per parlare di un disegno di legge appunto perché questo possa arrivare anche a lui. La lingua può essere un mezzo potente di comunicazione ma anche un grande ostacolo: gli spagnoli tendono a tradurre tutto in spagnolo (tutto ma davvero tutto) e per me questo è controproducente, perché può essere un segnale di chiusura. Siamo nel 2016 e in Italia l’inglese è ancora un po’ un mistero per tante persone (persino per alcuni studenti) e proprio per questo dobbiamo “lasciarlo entrare” un passo alla volta: usare termini stranieri non significa necessariamente perdere la propria identità.
Questo è il mio pensiero! Complimenti per il tuo blog.
Un caro saluto!
Carissima, ho apprezzato molto la grande educazione con cui hai espresso la tua opinione e soprattutto la completezza delle tue argomentazioni.
Tuttavia, reputo che la lingua italiana non abbia nulla da invidiare ad altre lingue, anzi, andrebbe utilizzata con un pizzico di amor proprio in più. Il che non vorrebbe dire chiudersi nel proprio guscio, al contrario, significherebbe essere consapevoli di possedere un grande patrimonio, da divulgare al mondo nella sua forma più affascinante e autentica. In questo modo saremmo degli attori protagonisti della contemporaneità e non, come tristemente accade oggigiorno, delle banderuole che garriscono laddove tira il vento.
In chiusura, ti faccio i miei complimenti per il tuo blog, ho visto che hai aperto recentemente uno spazio tutto tuo, ti auguro dunque tanta buona fortuna.