
Ricorre oggi il cinquantottesimo anniversario della tragedia del Vajont. Sono le 22:39 del 9 ottobre 1963 quando una massa di circa 270 milioni di metri cubi di roccia si stacca dal Monte Toc, situato nel pordenonese, e precipita nel lago artificiale ricavato con la costruzione di una diga sul torrente Vajont.
La velocità della caduta provoca un’onda di circa 50 milioni di metri cubi d’acqua che si abbatte su Erto e Casso e, nella Valle del Piave, sommerge completamente Longarone e i comuni limitrofi, sradicando gli edifici fin dalle fondamenta.

Sin dall’inizio, i rilievi per la costruzione della diga non danno esito positivo. I lavori però vengono portati avanti ugualmente, sottovalutando i rischi geologici della zona e le rimostranze dei cittadini, che a più riprese segnalano forti boati provenire dal monte Toc.
Una prima frana si verifica già nel novembre del 1960, fortunatamente senza provocare vittime. Seguono nuovi studi, che evidenziano l’elevato rischio di crollo di materiale roccioso, ma la costruzione prosegue. All’inizio del 1963 il bacino artificiale viene riempito fino all’altezza di 715 metri, superiore al livello di sicurezza rilevato, e poi svuotato, ma ormai la frana è incontenibile.

Le vittime di quest’immane tragedia sono circa 2.000, le tante persone sfollate vengono accolte nei centri abitati di Vajont e Nuova Erto. La comunità rimasta non si arrende e – come accadrà anche per il terremoto del 1976 – si rimbocca le maniche per la ricostruzione, con l’importante sostegno di Alpini, Vigili del Fuoco, Forze dell’Ordine.
Nel 2019 l’Amministrazione regionale ha istituito una Giornata in ricordo di chi non è sopravvissuto alla catastrofe e quest’anno, per la prima volta, il disastro del Vajont è stato ricordato anche dalle Istituzioni europee.
La tragedia, conseguenza della superficialità e dell’avidità dell’uomo, deve servirci da monito per la costruzione di un futuro più sostenibile, in cui l’ambiente non sia sfruttato, ma protetto e rispettato.
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